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DANSAEKHWA – LA FORZA DEL MONOCROMO NELL’ARTE COREANA

Dansaekhwa
Collateral Event of the 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia

Public Opening: May 8th – 08.05 to 15.08.2015
Location: Palazzo Contarini-Polignac (874 Dorsoduro, 30123 Venezia), Accademia
Curator: Yongwoo Lee
Artists: Chung Chang-Sup, Chung Sang-Hwa, Ha Chong-Hyun, KIM Whanki, Kwon Young-Woo, Lee Ufan and Park Seo-Bo
Organized by: FONDATION BOGHOSSIAN, BRUXELLES – KUKJE GALLERY, SEOUL – TINA KIM GALLERY, NEW YORK
www.venice-dansaekhwa.com
Contacts: Alexandra Garcia Waldman alex@tinakimgallery.com
Maria Elena Fantoni marlene.fantoni@gmail.com
Press Inquiries: Zoe Chun (Communications Director) zoe@kukjegallery.com

Testo di Vittoria Biasi
La forza del monocromo nell’arte coreana

Dopo l’indipendenza dal Giappone nel 1945, per la Korea, come per gli altri paesi divenuti indipendenti, l’avanguardia è il movimento di rottura con la cultura ufficializzata e di reintegro nell’anima delle proprie tradizioni, del proprio linguaggio e dei propri materiali espressivi. Una linea immaginaria bianca divide il secolo e anche l’universo, racchiudendo le proteste, per differenti e individuali motivazioni. La monocromia, dalla seconda metà del Novecento, continua la sua storia, connotando culture e tempi. In tal senso con la mostra a mia cura, Primavere del bianco, nel 2010, presso il Museum of Art Seoul National Universty, ho posto in relazione il percorso contemporaneo del monocromo italiano con quello coreano. Nella successiva esposizione White & White. Dialogo tra Corea e Italia, nel 202013 presso il Museo Bilotti di Roma organizzata dal National Museum of Contemporary Art e da me curata, il percorso coreano era arricchito con la partecipazione di artisti della collezione del National Museum of Contemporary Art, tra cui Seo Bo Park, Chang-Sup Chung, accanto alle opere di In So Choi, di Yung-Woo Kwon e di artisti che aprono il discorso della monocromia su nuovi paesaggi linguistici.

La mostra Dansaekwa, allestita in modo impeccabile sui tre piani del Palazzo Contarini-Polignac, traccia il percorso del movimento, facendo riflettere sulle influenze della storia monocroma sulle ultime pratiche artistiche. Il bianco è la centralità consapevole della cultura coreana. Le opere monocromatiche provengono da una filosofia di ricerca, in cui il materiale non è mezzo modellabile, ma ha la sua natura che l’intervento finale dell’artista fa emergere, sottolinea, riverisce: la firma è il segno di un riconoscimento superiore oltre la propria persona.

Malevic e gli artisti delle neo avanguardie, come Yves Klein, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Angelo Savelli, Lucio Fontana marcano le trasformazioni ideologiche del Novecento facendo riemergere il pensiero che da Pitagora fluiva verso l’occidente. Dagli ultimi decenni del precedente secolo la storia del monocromo coinvolge aspetti di vita quotidiana, partecipa della realtà, diviene un modo di essere nel mondo, abbandonando la dimensione solitaria. Ha influito la cultura occidentale sull’arte monocroma della Corea? E in che modo? Ha contribuito a forzare la dimensione contemplativa, solipsistica, verso un coinvolgimento sociale, come apertura verso l’uso di materiali inediti?

L’occupazione giapponese, altri eventi storici, il rapporto con il capitalismo occidentale hanno distolto l’arte coreana dall’originaria purezza del pensiero. Il desiderio del rede in te ipsum, come è stata la monocromia per alcuni artisti del secondo Novecento, è documentato dalla mostra a Tokio del 1975, intitolata “Cinque autori, cinque bianchi”, con la partecipazione di Seo-Bo Park, Dong Youb Lee, Seung- Won Suh, Young- Woo Kwon, può aver contribuito a segnare il passaggio dall’arte premoderna alla moderna. Con Park Seo-Bo e Kwon Young-Woo inizia la ricostruzione della corrente artistica Dansaekwea. Il curatore Yong Woo Lee completa il percorso con le opere dei maestri Chung Chang-Sup, Chung Sang Hwa, Ha Chong-Hyun, Kim Whanki e Lee Ufan, che, con l’eccezionale intervento site-specific, induce a riflettere sull’esile confine tra il fare e il non agire. L’idea di limite, di soglia è la ricerca ricorrente di Lee Ufan e degli artisti del Dansaekhwa. In At the Four Direction (1985), opera site-specific, di grande forza di Lee Ufan, posta all’esterno del National Museum of Modern and Contemporary Art, quattro sassi sono posati su altrettante lastre in ferro che serbano i segni di un distacco naturale. Le opere di Chung Chang Sup, Chug Sang Hwa, Kwon Young-Woo, Kim Whanki, Ha Chong- Hyun, Lee Ufan, Seo-Bo Park esprimono la tensione tra l’intervento artistico e la superficie. Il gesto è il risultato di un percorso filosofico rivolto al superamento di ogni eccesso o dispersione, per raggiungere l’essenzialità linguistica. Il curatore Yong Woo Lee presenta la loro poetica scrivendo: “In contrast, rather than Dansaekhwa excluding sensitivity to color, monochromatism maintains a painterly flexibility and affinity by removing the excess of color. In particular, brushing and plucking at paint, and then pushing and scratching it through the back of the canvas is a physical act, appearing as an element and important performance of the production process, and rendering painting unpredictable.” E ancora, Yong Woo Lee precisa il percorso, il progetto originario degli artisti come ricerca storicamente identitaria, dichiarando: “What is characteristic about Dansaekhwa is that is foundation, which its practitioners adhere to, is not about divorce any negotiation of tension within the tradition of painting, but instead an evolution of the canvas based on both the simplicity of color and the transformation that occurs from introspective analysis”.

In tal senso gli artisti, fondatori del movimento Dansaekhwa, hanno contribuito a valorizzare i valori avanguardistici della cultura coreana e del pensiero taoista. Gli unpainted paintings di Chung Chang Sup sono il risultato di un lavoro estetico fondato sulla tradizionale produzione coreana della carta, Tak, tratta dall’albero di gelso, e dal procedimento naturale di asciugatura, fermata con la stesura della colla. I differenti livelli di essiccamento determinano il movimento della superficie, quale sindone dell’invisibile, che lascia le tracce espressive tra le increspature della superficie. Sung Sang Hwa ricopre la tela con zinc primer, ripiegandola secondo il suo progetto temporale; quando la tela è asciutta, l’artista asporta i frammenti e inserisce la pittura acrilica tra le sottili fenditure, come in un processo di rivitalizzazione corporea. Una regola imposta la ricerca sul procedimento della ripetizione per conseguire la comunione tra sé e l’opera. L’opera di Ha Chang Hyun è poetica! L’artista riconosce la forza espressiva della pittura che attraversando la trama o le fessure della tela, scrive spontanei alfabeti. Considerato il pioniere del Dansaekhwa, Kwon Young Woo dal 1960 ha iniziato a lavorare solo con la carta, che ha considerato il suo terreno pianeggiante e ha cominciato a solcarlo con graffi, ferite allineate, che ha colmato con lamine di carta sovrapposta, intrisa d’inchiostro. Nella mostra White & White nel dialogo tra Corea e Italia, l’artista, come scrive il curatore Haeng ji Kim, ha enfatizzato gli effetti della carta stessa, il suo mite tepore e la sua delicatezza, ma poi la straccia, la graffia, la fora, e, ripetendo questi gesti, manipola il materiale con uno stile astratto, svelando nuove potenzialità per quest’arte. Con la forma di una scrittura primitiva, il gesto di Seo Bo Park attraversa la tela come un suono di preghiera, sollevando misteriosa ammirazione per il ritmo che procede uguale, della stessa misura, dal profondo del corpo.

Il movimento monocromo coreano Dansaekhwa è forse vicino, per motivi estetici, al Mono-ha giapponese o forse alla monocromia occidentale, ma il ritmo compositivo accomuna e identifica la cultura, ne rivela il senso che supera la trasformazione dei tempi, delle forme, della lingua.

Vittoria Biasi
Storica dell’arte, critico e curatrice internazionale

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