INTERVISTA A GIORGIO DE FINIS – MAAM – ROMA
Intervista a Giorgio de Finis, ideatore e curatore del MAAM
di Emanuela Mastria
EM: Come hai avuto l’idea del MAAM, com’è nato questo progetto?
GdF: Il progetto nasce da lontano, da una storia lunga più di dieci anni. Inizia dal mio lavoro a Mumbai e da anni di collaborazione con Stalker, un collettivo di artisti camminatori che lavorava sulle zone di frangia delle città, nei campi rom e con i migranti. Insieme abbiamo fatto il giro del G.R.A. a piedi e ho scoperto Metropoliz, pochi giorni dopo la sua occupazione. Al Casilino 900, Stalker aveva costruito un modulo abitativo in scala 1:1, una casetta di legno realizzata da quattro comunità provenienti dalla Ex Jugoslavia, la Savorengo Ker, “la casa di tutti”. Era un oggetto d’arte che assomigliava forse troppo ad una casa vera e che purtroppo è stata distrutta da un incendio. Dalla fine drammatica di questo progetto, che era stato un grande sogno per il Casilino, e per tutti coloro che vi hanno partecipato, è nata l’idea di costruire un razzo per andare sulla Luna, per denunciare il fatto che i rom non li vuole nessuno e che sono “nomadi” solo perché vengono spostati in maniera forzata da un campo all’altro. L’idea del razzo e del viaggio sulla Luna l’abbiamo proposta, a distanza di anni, a Metropoliz, un luogo che ci aveva subito affascinato. Con Fabrizio Boni, con cui avevo già firmato C’era una volta Savorengo Ker, la Casa di Tutti, abbiamo realizzato il film Space Metropoliz, raccontando sogni e bisogni di questa comunità anche in modo ludico e utilizzando il cinema, questa volta, come un cavallo di Troia, uno strumento per cambiare le cose. Da qui è nata l’idea di coinvolgere gli artisti cosa che alla fine mi ha fatto pensare di creare un museo.
EM: MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz città meticcia, puoi spiegarmi il significato di questo acronimo?
GdF: Il nome è un po’ un gioco. L’idea è quella di immaginare e ricostruire la “situazione” di un museo di arte contemporanea in uno spazio occupato. Mettere insieme il punto più alto della città contemporanea, la nuova cattedrale, ovvero il Museo, affidato ad archistar come Zaha Hadid e Odile Decq, e il posto che si vuole tenere nascosto sotto al tappeto ovvero lo slum, la baraccopoli, in questo caso una fabbrica dismessa trasformata in casa. Bisognava partire con un nome che fosse all’altezza del compito, in grado di competere con i grandi musei nazionali e a Roma con il MAXXI e il MACRO. Il Museo dell’Altro e dell’Altrove nasce nel 2012 ed è figlio di Space Metropoliz che aveva come obiettivo la Luna dove andare con precari e migranti per avere una chance di ricominciare. Abbiamo costruito il razzo e creato un suolo lunare e siamo atterrati; il razzo è stato come una grande clessidra che si gira e riatterra su Metropoliz. L’Altrove nell’acronimo del MAAM è la Luna, è l’utopia, il foglio bianco. L’Altro vuole sottolineare il valore della differenza, ciascuno è altro rispetto a tutti gli altri e spesso anche rispetto a se stesso. Volevamo portare l’arte come un dispositivo di incontro, un fattore di moltiplicazione di immaginari, di mondi, quindi l’Altro per noi è un valore. Come l’Altrove.
EM: Quante opere sono state realizzate fin’ora al MAAM?
GdF: Le opere d’arte sono più di quattrocento. I primi ad arrivare sono stati i quadri della Pinacoteca Domestica Diffusa. Sono lavori che ci sono stati donati per finanziare la ristrutturazione del tetto della ludoteca. Quelli che non sono stati venduti sono finiti nelle case degli abitanti di Metropoliz, che li hanno scelti e che sono tenuti a mostrarli a chi chiedesse di poterli vedere. Una mostra che aveva il titolo significativo L’arte aiuta l’arte ma non solo. Gli artisti donavano un’opera per permettere ad un altro artista di realizzare, donandola a sua volta, un’altra opera! Riparato il tetto nella ludoteca è stata realizzata La Stanza dei Giochi, un’opera di Veronica Montanino, la prima artista che ha accettato di lavorare qui.
EM: Astolfo volò sulla Luna e trovò l’ampolla con il senno di Orlando. Cosa trova un visitatore quando viene al MAAM? L’impatto iniziale è molto forte, quasi disorientante, sembra davvero di entrare in un labirinto…
GdF: La Luna è la nostra metafora per eccellenza, quindi il viaggio di Astolfo rientra a pieno tra le fonti che ci hanno ispirato. Raramente il visitatore di un museo è entrato in un’occupazione abitativa e qui prima ancora di varcare la soglia, trova le cassette postali con i nomi di tutti i metropoliziani. A Metropoliz convivono realtà come la fabbrica dismessa, le famiglie che l’hanno trasformata e resa la loro casa, la lotta politica portata avanti dai Blocchi Precari Metropolitani. Le quattrocento opere del MAAM sono per lo più attaccate ai muri e alle strutture della fabbrica. Sono una seconda pelle, una “barricata”, e sono agganciate l’una all’altra a formare nuove relazioni, in un gioco di specchi a volte spiazzante che moltiplica il significato di ciascun intervento e che sottolinea il valore “corale” del MAAM, che è al tempo stesso un contenitore di opere e un’opera esso stesso. Nei singoli tasselli di questo immenso mosaico, si possono ritrovare mille e una estetica e mille poetiche diverse, ma tutte insieme creano un’unica grande opera d’arte. Visitare il MAAM è come compiere un viaggio e vorrei raccontarlo nel mio prossimo film, proprio come un attraversamento, alla maniera de L’arca russa. Il film si chiamerà District 913, un altro doveroso omaggio alla fantascienza.
EM: Come viene accolto e percepito il MAAM in Italia e all’estero? Hai notato delle differenze significative?
GdF: Come spesso accade, gli apprezzamenti sono inversamente proporzionali alla distanza, più si è lontani dal MAAM e più viene celebrato come un progetto straordinario. Gli abitanti di Tor Sapienza, il quartiere che lo ospita, lo hanno scoperto solo recentemente, ma ora hanno iniziato a percepirlo come un punto di forza. C’è il progetto di realizzare una strada dell’arte che dalla stazione conduca al museo, attraversando tutta Tor Sapienza. Ci stiamo lavorando.
EM: Ho molto apprezzato un tuo pensiero espresso in un’intervista sul settimanale Left: “Il Maam sta dall’altra parte della barricata, rispetto alla gestione istituzionale della cultura. Diventa una spina nel fianco degli altri musei ed istituzioni che, in qualche modo, noi sollecitiamo ad essere più attivi. Io non sono per dare spallate, ma per pungolare un po’.” Che rapporto hai con il sistema dell’arte?
GdF: La priorità è creare una barricata per salvare le case delle duecento persone che ci vivono, di cui sessanta sono bambini. La caratteristica principale del MAAM è quella di essere un museo abitato. E’ uno spazio indipendente che segue le sue regole e può diventare un elemento di confronto con altri modi di fare cultura. Abbiamo iniziato dichiarando che avremmo fatto concorrenza ai grandi musei della Capitale, ovviamente era un gioco. Ma in una situazione come quella romana il MAAM compete davvero, e non solo a detta dei media, con i musei istituzionali. Si è sviluppato in tre anni, a costo zero, senza chiedere finanziamenti pubblici né privati, solo grazie alla partecipazione di ciascun artista che ha contribuito al progetto realizzando un’opera (o più d’una) a proprie spese. Al MAAM ci sono artisti riconosciuti dal sistema dell’arte ma anche giovanissimi emergenti, tutti sono i benvenuti purché si dichiarino artisti, cioè abbiano fatto questo passaggio di autoleggittimazione, avendo il coraggio di dire: “sono un artista”. Se sgomberi una fabbrica occupata (anche con sessanta bambini) alla notizia sarebbe dedicato al massimo un trafiletto: “bonificata l’area della ex-Fiorucci”, mentre distruggere un museo con quattrocento opere d’arte, tra cui anche un muro dipinto da Notargiacomo, è tutta un’altra cosa. Non dico che sia giusto, anzi lo trovo orribile, ma per usare la formula cara a Vonnegut (cfr. “Mattatoio n.%”): “Così va la vita”!
EM: Come avviene la selezione delle opere? Chi si occupa di valutare un progetto? Quali sono i criteri di approvazione e di esclusione?
GdF: Come ideatore e curatore del progetto, mi occupo di invitare e accogliere gli artisti. Il mio compito è quello di presentare loro gli obiettivi del MAAM e soprattutto fargli comprendere dove si trovano. Insieme valutiamo l’idea che l’artista propone e cerchiamo di individuare uno spazio adatto. Sono un po’ il giardiniere in una foresta che nasce seguendo delle dinamiche naturali ma che ogni tanto ha bisogno di una piccola potatura o di trapiantare qualcosa. Ogni martedì ci riuniamo in un’assemblea con alcuni abitanti di Metropoliz per discutere e accogliere le nuove opere. Sono escluse a priori le opere che potrebbero essere ritenute offensive da chi vive a Metropoliz: una performance di nudo sarebbe fuori luogo perché creerebbe imbarazzo alla comunità mussulmana. Altre opere “problematiche” sono quelle a carattere religioso, perché Metropoliz ha fatto la scelta politica di considerare la religione un fatto privato. In ogni modo questo non ha impedito a Gianfranco D’Alonzo di realizzare la sua Stanza della preghiera.
EM: Hai notato delle differenze nel tipo di approccio che ciascun artista ha nel proporre un progetto, ad esempio tra artisti emergenti e artisti affermati?
GdF: Ci sono sicuramente tante differenze tra gli artisti. C’è chi porta dal proprio studio l’opera finita o arriva con un’idea molto precisa. La maggior parte sono interventi site specific e questa scelta può avere sia un esito ingenuo che molto raffinato, a seconda dei casi. Uno degli obiettivi dovrebbe essere quello di creare una relazione con lo spazio e con il vissuto di Metropoliz e infine cercare di rapportarsi anche con le opere vicine. Spesso gli artisti scelgono di dialogare con le altre opere piuttosto che alzare muri. E’ curioso notare che alcune stanze sembrano costruite a tavolino, invece si tratta di lavori realizzati nel corso del tempo, uno dopo l’altro. Avviene in modo naturale e sarebbe difficile sperimentarlo in altri contesti, in questo il MAAM è unico, qualunque altro museo ti offre un contenitore bianco e ti lascia solo.
EM: Alcuni artisti si sono confrontati con tecniche nuove e completamente diverse da quelle utilizzate in passato. Come nel caso di Sara Bernabucci che da anni segue una sua personale ricerca su carta e polvere di grafite mentre al MAAM, lei e Sauro Radicchi hanno realizzato insieme La Percée, una barca/strumento musicale. Dunque trovano spazio anche la sperimentazione e la ricerca?
GdF: Senz’altro e vale certamente per quest’opera bellissima, piena di senso e di poesia che ci ha regalato performance musicali fantastiche grazie alla partecipazione di straordinari percussionisti senegalesi. Per Sara Bernabucci e Sauro Radicchi realizzare la barca è stato anche un lavoro faticoso nelle fasi di assemblaggio e di cucitura. Ci sono anche altri esempi, come nel caso di Veronica Montanino che aveva sempre lavorato colando il colore su un supporto orizzontale per poi applicarlo successivamente alle pareti mentre nella scala realizzata per il MAAM, ha sperimentato un tecnica diversa per poter lavorare in verticale. Molti altri artisti hanno scelto di lavorare collaborando, realizzando un’opera a più mani. Una delle caratteristiche del museo “reale” (come ha Cesare Pietroiusti il MAAM in opposizione ai musei “irreali”) è proprio la sperimentazione.
EM: Molte delle opere realizzate al MAAM sono interventi site specific. Quando ho scelto lo spazio in cui avrei installato vola tu, Bianca Flut, ante Nu. (Marea), avevo l’idea di creare un’assonanza visiva con Composizione M di Germano Serafini. Con mia grande sorpresa, il passaggio d’aria presente in quello spazio consente il movimento continuo delle sculture sospese. È’ chiaro che ogni artista deve confrontarsi con lo spazio e con le opere già realizzate ma, se alcuni accostamenti sono particolarmente riusciti, altri invece creano un forte contrasto. Che ne pensi? È un luogo in cui tra gli artisti possono nascere delle sinergie? Qual è il tuo ruolo?
GdF: Sicuramente nascono delle sinergie perché il MAAM è un’opera corale. Lo considero come una cattedrale laica contemporanea, in cui lavorare con lo spirito di quel tempo; non nel senso di togliere l’individualità all’artista e tornare al Medioevo in cui erano tutti artigiani, ma considerandola una fabbrica attiva e vitale. Qui tutti lavorano osservando il lavoro degli altri e sono convinto che la capacità retinica degli artisti visivi di assorbire quello che vedono ed elaborarlo, fa in modo che i nessi nascano naturalmente. Nello spazio dove è collocata la L.U.N.A. di Massimo De Giovanni ad esempio, anche le opere inserite successivamente hanno una forma circolare, o sferica, come le parabole di James Graham, il muro di Corn 79 o Iperbole di Simone Bertigno.
Io naturalmente in qualità di curatore non mi sottraggo al gioco degli incastri e dei rimandi.
EM: Tra le opere realizzate, Peace di Eduardo Kobra con il volto di Malala Yousafzai è particolarmente significativa ed è stata realizzata prima che l’attivista pakistana vincesse il Premio Nobel per la pace, quasi fosse un’intuizione dell’artista… Mi racconti qualcosa in merito?
GdF: È una delle grandi opere realizzate sui muri esterni che, insieme al telescopio di Gian Maria Tosatti e all’insegna FART, annunciano ciò che il visitatore troverà all’interno, quindi ha una grande importanza. L’idea è di dipingere tutti i muri esterni, ma date le dimensioni i costi sono elevati. L’opera di Kobra è stata realizzata con la collaborazione di Dorothy Circus Gallery, che hanno coperto tutte le spese. Attualmente abbiamo deciso di non accogliere più interventi finanziati dalle gallerie. L’omaggio a Malala resta una delle opere più importati del MAAM anche se non tutti hanno apprezzato che la parola PEACE fosse composta da simboli religiosi. Nell’intento dell’artista, i simboli sono tutti alla pari perché per lui tutte le religioni sono valide allo stesso modo e questo dovrebbe impedire che si faccia la guerra in nome loro.
EM: Tutte le opere sono state realizzate per difendere l’occupazione, per proteggere gli abitanti e il diritto alla casa. Mi ha molto colpito l’attenzione e l’interesse dimostrato da alcuni artisti per i bambini metropoliziani. Pensando a loro, sono stati realizzati La Stanza dei Giochi, il frutteto e Bambini nel tempo di Fabio Mariani. Come il bambino dipinto che percorre il pontile verso un luogo e un futuro sconosciuto, i bambini sono i più indifesi. L’artista vuole suggerire che devono essere protetti e sembra chiedersi se vivendo questa esperienza, potranno diventare esseri umani migliori. Che ne pensi?
GdF: I bambini di Metropoliz sono il futuro della città meticcia quindi stanno particolarmente a cuore a tutti. Anche se il MAAM è un esperimento, sono convinto che vivere in uno spazio così impregnato di arte e frequentato quotidianamente dagli artisti, sia un’esperienza di grande valore per chi cresce in questo spazio. Oltre ai laboratori che sono stati dedicati proprio a loro, anche solo attraversando il MAAM si entra in luoghi sorprendenti perfino per chi è abituato ad avere un contatto con l’arte. Sono sicuro che questa esperienza quotidiana lascerà un segno nella vita dei piccoli abitanti di Metropoliz.
EM: Nella corte esterna che racchiude il frutteto troviamo Home of the birds di Alessandro Ferraro. Il canto degli uccelli è raffigurato da versi poetici di tante lingue diverse: francese, italiano, arabo, russo, greco, spagnolo, inglese… È una scelta dell’artista pensata per avvicinare i bambini al linguaggio poetico sia scritto che visivo, immergendoli di un contesto diverso dalle altre sale, di una bellezza delicata e accogliente. Imparando a leggere i bambini riconosceranno la loro lingua e probabilmente avranno la curiosità di conoscerne altre. Un luogo dove culture diverse si incontrano rappresenta una ricchezza, sei d’accordo?
GdF: Penso che il cortile di Alessandro Ferraro sia soprattutto un luogo di pace e serenità. Ha lavorato esclusivamente con il colore rosa, mantenendo parte dello sfondo preesistente con le strisce colorate e le tag per ottenere il piumaggio degli uccelli poeti. La poesia ha un valore diverso dagli altri tipi di scrittura. Il verso poetico trasmette qualcosa di più profondo e, come i sogni e la fotografia, suggerisce rimandi interni molto precisi. Ha una forza evocativa molto forte che fa emergere delle immagini. Per gli antichi greci, i barbari erano quelli che parlavano la lingua degli uccelli, quindi il cortile è anche un richiamo alla città meticcia dove si parlano lingue che non ci sono familiari. È un luogo pieno di significato, non solo per i bambini.
EM: Tra i lavori realizzati nei laboratori didattici, quelli di mosaico sono stati applicati ad una parete della stanza dei giochi, entrando di fatto a far parte della collezione del MAAM. Che cosa vuol dire crescere in questo luogo di grande fermento artistico e culturale?
GdF: Lo ripeto, credo sia un’esperienza importante per loro. Ho chiesto spesso agli artisti di organizzare questi laboratori, l’idea era di organizzarne uno ogni sabato, aperto anche al quartiere. I bambini che partecipano hanno età diverse, sono molto vivaci e tendono a mettere l’artista a dura prova; ci vuole un coinvolgimento organizzativo anche da parte nostra. Il laboratorio di mosaico è piaciuto moltissimo e ha avuto anche una durata lunga. Di fatto sono le prime opere realizzate dai bambini di Metropoliz che vengono esposte.
EM: Oltre alle opere dipinte, i materiali utilizzati dagli artisti sono i più diversi: dal legno al ferro, dalla ceramica al cemento armato, fino al fuoco di Paolo Buggiani. Ti sei posto il problema della tutela e conservazione delle opere e se sì, come viene affrontato? Ad esempio la raffinata opera Costellazioni Metropolitane 1/2 di Mauro Maugliani, interamente realizzata con la penna Bic, col tempo tenderà a svanire per motivi chimici trasformando quei bellissimi volti di donna in immagini evanescenti…
GdF: Il problema della cura delle opere è affidato a tutta Metropoliz nel momento in cui si accoglie il dono. All’arrivo di un nuovo lavoro, sottolineo sempre che questa diventa parte della ricchezza collettiva e che tutti gli abitanti devono aiutarci a tutelarla. Non c’è la vigilanza e neanche la possibilità economica di restaurare le opere laddove fosse necessario. Lasciamo la cura dei singoli interventi agli artisti che li hanno realizzati e cerchiamo di fare in modo che non vengano danneggiati. Penso che le opere di Metropoliz devono saper invecchiare bene, c’è una bellezza anche nel tempo che passa così come un bel volto può accogliere delle rughe senza diventare brutto, magari diventando più interessante. Non c’è la missione della salvaguardia come nei musei tradizionali anche nel senso che le opere non sono congelate ma continuano a vivere. Nel caso delle opere di Maugliani realizzate con la penna Bic, l’alterazione chimica ci sarebbe anche in un appartamento; utilizzare questa tecnica è proprio una scelta personale dell’artista.
EM: Recentemente si è svolto un incontro al MACRO “Come rovesciare il mondo ad arte” che ha visto la partecipazione diretta di alcuni artisti del MAAM, mi racconti com’è andata?
GdF: È stata una delle iniziative per presentare Forza tutt* , il catalogo del MAAM ed Exploit, un manuale d’istruzioni “per rovesciare il mondo ad arte” appunto, realizzato in occasione di un evento svoltosi a Milano, anzi che doveva svolgersi a Milano nei giorni di Expo, per riaprire una riflessione su arte, politica, movimenti, mercato. Entrambi i progetti sono collettivi e sono stati presentati in modo corale. Per questo mi è sembrato interessante chiedere a ciascun artista di mettere in evidenza un aspetto, scrivendo un intervento di 15 righe da leggere durante l’incontro. Mi aspettavo una riflessione teorica, invece è stato tutto molto poetico, il che non mi dispiace affatto. La maggior parte degli interventi sono stati una manifestazione d’affetto nei confronti di questo museo che gli artisti a ragione sentono anche loro. Al MAAM non si tratta solo di creare un’opera, ma anche di lavorare insieme e magari diventare amici. Ci sono artisti che ogni sabato si incontrano e si confrontano in questo spazio, come un tempo poteva essere i bar di Piazza del Popolo. Nell’incontro al MACRO abbiamo provato a parlare e a riflettere tutti insieme. A questo spero seguiranno altri incontri e diventare un appuntamento periodico.
EM: Ho notato che nella partecipazione al MAAM la presenza femminile è pari a quella maschile. Come curatore qual è la tua opinione riguardo al ruolo della donna nell’arte oggi?
GdF: Personalmente mi trovo meglio a lavorare con le artiste, ma questo non c’entra. Penso che le donne abbiano una marcia in più ma non ci sono le quote rosa al MAAM, c’è stata una grande partecipazione spontanea. Invece credo di poter dire che il progetto è femminile nel suo DNA perché si rifà alla Luna, anche per la sua vocazione ad accogliere e proteggere. Forse l’arte l’hanno iniziata le donne nelle caverne… come ci ha raccontato anche Alessandro Ferraro durante l’incontro al MACRO.
EM: Il MAAM ha ospitato per alcuni mesi una versione della Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto e gli artisti del MAAM sono stati invitati a realizzare un’opera d’arte collettiva per Cittadellarte – Fondazione Pistoletto. Mi racconti questa esperienza?
GdF: Il rapporto con Michelangelo Pistoletto e Cittadellarte è molto stretto ed è iniziato quando abbiamo invitato a Metropoliz i ragazzi di Love Difference per avere la loro collaborazione. Quando è nato il MAAM mi sarebbe piaciuto ospitare il tavolo specchiante di Michelangelo che ha girato in molti musei e attorno al quale si riuniscono i partecipanti del Parlamento del Mediterraneo. Quando siamo stati invitati a Biella a presentare il MAAM e il film Space Metropoliz abbiamo ottenuto una entusiastica accoglienza da parte di Pistoletto. Da qui è nato una sorta di gemellaggio, Michelangelo è venuto a farci visita due volte al MAAM e io ho iniziato a collaborare con Cittadellarte. Sono particolarmente felice di aver avuto la possibilità di avere la Venere degli stracci al MAAM, un’icona dell’arte contemporanea. Mi piace leggere quest’opera pensando a Il mantello di Arlecchino di Michel Serres. Arlecchino si spoglia dei suoi abiti multicolori, rivelando un corpo tatuato dai segni dei viaggi che ha intrapreso, come se la sua pelle fosse una mappa geografica. Arlecchino si sbuccia come una cipolla rivelandosi sempre iridato, cangiante, multicolore. Alla fine Arlecchino si trasforma in Pierrot Lunaire: l’imperatore della Luna ovvero il bianco, in quanto la somma di tutti i colori dà il bianco. La Venere è bianca come lo è Pierrot mentre gli stracci sono multicolori come lo è la città meticcia e il corpo della fabbrica tatuato dagli interventi degli artisti. Successivamente abbiamo voluto ricambiare il dono e Pistoletto ci ha chiesto di portare un’opera concettuale che raccontasse il MAAM a Cittadellarte. Abbiamo pensato di portare a Cittadellarte alcune parole chiave e tanti elementi diversi, da utilizzare liberamente come le tessere del mosaico, realizzati dagli artisti che avevano lavorato a Metropoliz, ciascuno su un formato circolare (il cerchio della teoria degli insiemi). Così è nata INSIEME, un’opera che il MAAM ha firmato come “artista collettivo”.
Emanuela Mastria
Roma 3 luglio 2015
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