RICAMO E BIRO, IL DOPPIO BINARIO DI ALIGHIERO BOETTI A PALAZZO MAZZETTI, ASTI
La mostra PERDILOEPER SEGNO, personale di Alighiero Boetti (Torino, 1940-1994), da sabato 17 marzo a domenica 15 luglio 2018, è prodotta dalla Fondazione Palazzo Mazzetti e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti ed è curata dalla storica dell’arte Laura Cherubini in collaborazione con Maria Federica Chiola.
Il percorso si compone di 65 opere che comprendono arazzi, mappe, arazzetti, ricami e cartoncini a biro, che si integrano alla perfezione nella splendida cornice settecentesca di Palazzo Mazzetti ad Asti, che porta dentro di sé tesori di arti minori, mai considerate tali da Alighiero Boetti.
“Quel che la biro rappresenta per un occidentale, per un afghano è il ricamo, che come memoria sovraindividuale reca in sé parti della biografia collettiva” ha scritto Jean Christophe Amman, grande critico, amico estimatore del lavoro di Boetti.
Queste due strade parallele: il filo del ricamo e il segno della biro, corrispondono ad un confronto transculturale tra due linguaggi e storie diverse.
L’esposizione pone in dialogo le opere a penna biro, cartoncini realizzati in Italia sotto precise indicazioni dell’artista con l’utilizzo di penne colorate, e i ricami, una raccolta di frasi e pensieri riferite al tempo, ricamati all’interno di quadrati come formule matematiche.
Nelle opere in mostra si può chiaramente notare che la trama delle penne biro e la trama dei ricami è la stessa. L’andamento dei fili del ricamo è lo stesso dei tratteggi a matita e a biro.
Scrive la figlia Agata Boetti: “Mi raccontava che avrebbe amato poter ricamare lui stesso i propri arazzi. Avrebbe amato riempire di trattini blu di penna Pelikan gli immensi fogli delle Biro. Ma ne era incapace poichè sarebbe diventato pazzo! Non aveva la pazienza per un lavoro ripetitivo, meccanico”.
La realizzazione frammentata e l’anonimato del procedimento esecutivo fanno sì che l’opera acquisisca una coralità tra la regia concettuale di un artista occidentale e l’artigianato ancestrale di ricamatrici anonime.
Aprono la strada di Alighiero verso l’interesse per la pratica della tessitura e del ricamo: Adelina Marchisio, sua madre violinista, che mette in piedi una piccola impresa di ricamatrici con spirito imprenditoriale per creare abiti da spose e corredi matrimoniali, e Giovan Battista Boetti, monaco domenicano, suo antenato viaggiatore, missionario in Medio Oriente.
L’artista considerava i numeri le uniche entità reali nell’universo ed in particolare aveva una mania per il numero 11. Dichiarò infatti: “in Afghanistan ti dicono undicimila undici e poi ti fanno un gran sorriso…”. La data ha una bellezza in sé perchè è il tempo che lavora per noi. Dare tempo al tempo è il titolo di un’altra mostra a cura di J.C. Amman… ed ha sapientemente utilizzato il Tempo delle ricamatrici Afghane e degli studenti occidentali per creare le proprie opere.
Alighiero possedeva un notevole senso del colore e sapeva combinare i colori in composite armonie. Anche l’alfabeto è stato importantissimo, alla base delle sue numerosi combinazioni. Le lettere dell’alfabeto, come tanti mattoncini colorati meravigliosi, costruivano le frasi e l’insieme dell’opera. Una stessa frase veniva da lui declinata o realizzata in modi diversi.
La città di Asti vanta anche un immenso patrimonio legato alla tradizione dell’Arazzeria Scassa, fondata nel 1957 da Ugo Scassa, maestro della lavorazione e produzione di arazzi e in particolare all’usanza di tradurre in tessuto le opere di famosi pittori del 900 come Capogrossi, Corpora e Santomaso.
Il rapporto di Alighiero con questo popolo è stato fortissimo, era molto amato e godeva della stima di questa gente; ha anche finanziato la lotta della resistenza afghana all’invasione sovietica.
Avrebbe desiderato spargere le sue ceneri sui Laghi di Band e Amir, ma per esaudire il suo desiderio probabilmente bisognerà attendere la definitiva conclusione della guerra (in)finita in Afghanistan.
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