PENSIERI MICRO E MACRO-COSMICI
Contributo di Raffaella Losapio nei progetti evolutivi ideati ed avviati da Giorgio de Finis dal MAAM al MACRO
Se un albero cresce a fronde fa buoni frutti in grande quantità e realizza tutta la forza interna, la sua potenzialità; se invece l’albero si ammala, inaridisce e può anche morire.
Quando le comunità sono rigide, costrittive e non permettono ai soggetti di svilupparsi nella loro singolarità, originalità e libertà, certamente non favoriscono lo sviluppo delle generazioni, nel tempo s’impoveriscono ed inibiscono se stesse.
Questi non sono concetti filosofici difficili da comprendere, allora perché non creare le condizioni favorevoli per permettere alle persone di realizzare al massimo le loro capacità in progetti innovativi? Non è convincente la decisione di mettere fine con un bando o di “regolare diversamente” un progetto già perfettamente studiato e modulato. Il direttore artistico de Finis finora è riuscito a dimostrare, non con parole, ma nella concretezza, di saper mettere in moto una vera evoluzione culturale positiva in una città come Roma così problematica e di difficoltosa gestione manageriale.
Le numerose azioni sono documentate in cataloghi stampati, foto, video, registrazioni in internet, quindi gli studiosi potranno sempre approfondire, analizzare i vari interventi scientifici, artistici realizzati sul territorio nel corso della programmazione al MACRO ASILO.
Commissioni prestabilite, spesso a servizio di politiche culturali, di interessi economici forti, sono certe di sapere e decidere con particolari criteri di valutazione chi può essere premiato, chi vince i bandi e può beneficiare di finanziamenti, chi merita visibilità e successo.
Questo meccanismo, almeno per quanto riguarda la cultura, sarebbe da rivedere e da attualizzare in altre forme più aperte, trasparenti, democratiche.
A mio avviso, l’arte così è inconcepibile, non produce sintonia, concordia, armonia, non è più un bene comunitario e sociale, ma provoca divisioni, disaccordi.
In questo contesto, le sperimentazioni più avanzate difficilmente possono emergere, le iniziative filtrate dalla macchina istituzionale o dalle strategie del marketing culturale rischiano di diventare noiose per gli addetti ai lavori e di appiattire sia il vero mondo dell’arte, che il sistema.
Nessuno può dimenticare quante volte le giurie si sono sbagliate, quanti artisti ora venerati dagli storici e dal mercato, sono invece morti soffrendo in miseria.
Solamente nella relazione con gli altri ci si realizza, ma il miracolo avviene quando in un contesto recintato e competitivo, come quello artistico-culturale, ci si apre all’altro in una relazione feconda e si collabora in valori autentici di generosità ed altruismo nelle diverse contaminazioni, magari riconoscendo la superiorità di chi consideriamo più grande.
Giorgio de Finis, competente ed esperto antropologo, ha individuato ed è riuscito a liberare alcune tra le migliori potenzialità di Roma, a far attecchire una macro crescita artistico-culturale in un contesto libero, dove ognuno, con le proprie idee, ha apportato valore nella collettività.
I due progetti corali MAAM e MACRO ASILO, dalla fabbrica dismessa al museo nazionale d’arte contemporanea privo di vitalità, hanno aperto ad un flusso di innumerevoli energie creative e sono diventati opere vive.
Filosofi, docenti, artisti, musicisti, registi, scienziati, fisici, astrofisici, giornalisti, curatori, scrittori, danzatrici professioniste, ricercatori provenienti da diverse discipline, si sono alternati in lectio magistralis, conferenze, video, musica, autoritratti, residenze d’artista e in tutte le pratiche possibili della sperimentazione.
In particolare, nell’esperienza durante la residenza all’Atelier, mi è sembrato di rivivere le atmosfere della London Biennale nella Foundry di Londra dagli anni 2000-2004, anche che se considero le esperienze londinesi di allora, documentate nei video conservati nella nutrita mediateca di Studio.ra, più libere e trasgressive. Questo però non è un aspetto del tutto negativo, perché la città eterna, così apparentemente puritana, non avrebbe consentito manifestazioni troppo forti di creatività, quindi si sarebbe aggravata la polemica contro uno degli esperimenti più coraggiosi e vitali da almeno tre decenni, da quando sono arrivata a Roma.
All’inizio della mia settimana di lavoro al MACRO ASILO, dal 25 al 30 giugno 2019, che comprendeva l’Atelier e l’Autoritratto alla sala cinema, oltre a fornire i miei dati personali, firmare il “vademecum”, la liberatoria, gli assistenti mi hanno informato sull’impossibilità di fare questo o quello nell’Atelier, quindi ho avvertito un senso di impedimento, ma ho subito reagito cambiando prospettiva.
Anche se mi sono sempre rifiutata di chiedere ad artisti, provenienti da varie nazioni europee ed extraeuropee per diversi anni a Studio.ra, di firmare contratti o dichiarazioni liberatorie, permettendo loro persino di dipingere con colori acrilici scuri direttamente sui muri perfettamente bianchi, ho compreso ed accettato pienamente il rispetto delle regole inteso come aiuto e non come limite. E’ giusto e corretto stabilire ed osservare delle direttive in un ambiente pubblico museale.
L’attività nel mio Atelier intitolata “Insieme nell’arte e nello Spazio” è stata intensa e stressante per le alte temperature nel mese di giugno, per il solito caos dei trasporti e scioperi, le scosse di terremoto che si sono avvertite a Roma, i tempi ridotti soprattutto quando abbiamo smontato lo Studio d’artista, nonostante tutto il personale sia stato collaborativo e molto efficiente.
Così com’è avvenuto nella trasparenza dell’Atelier, anche a Studio.ra lavoro sempre davanti ad una vetrina che si affaccia sulla strada e cerco di condividere l’esperienza con la gente che si ferma a parlare mentre attende nervosamente l’arrivo dell’autobus, ma c’è una differenza sostanziale: le persone al MACRO ASILO non hanno fretta, non sono solo di passaggio, non devono andare da un’altra parte: arrivano lì al museo entusiasti, con il tempo necessario per approfondire i loro interessi, per conoscere il modus operandi degli artisti, per capire ed interagire nel lavoro creativo.
Si apre allora un mondo nuovo di scambi di storie e sfoghi personali con visitatori provenienti da ogni città, nazioni o continenti. Il fatto di coinvolgerli in una tematica, offrendo loro il pennarello e il supporto per creare insieme un’installazione partecipativa, li rende immediatamente parte attiva di un rilevante processo creativo in una situazione dinamica.
Nell’Autoritratto alla Sala Cinema, ho cercato di superare alcune perplessità, in quanto ho sempre desiderato confrontarmi ed entrare in circolo con gli altri. Una felicità solitaria è per me inimmaginabile e l’egocentrismo classico dell’artista non è mai stato una delle mie prerogative.
Ho quindi chiamato ad intervenire alcuni professionisti di settore con i quali ho collaborato e condiviso esperienze significative in lungo periodo e cercato di descrivere lo sviluppo delle mie energie d’artista nelle differenti direzioni in cui sono impegnata:
– Studio.ra, associazione culturale senza scopo di lucro, da me fondata e diretta dal 2006. Un laboratorio internazionale in continuo divenire aperto alla ricerca e alla sperimentazione artistica attraverso le nuove tecnologie della comunicazione
– 1F Mediaproject.net, blog internazionale online, creato dopo la deludente esperienza come editore di una precedente testata culturale online.
– Art#letter luogo operativo di Servizi per l’Arte a Milano, che affianca il lavoro romano all’Appio Latino-San Giovanni dell’Associazione di Studio.ra / 1F Mediaproject.
– Sperimentazione artistica personale nelle varie discipline: grafica, incisione, mosaico, pittura, video, fotografia, scultura, arte digitale e altro.
Quanto descritto potrebbe sembrare eccessivo, ma svolgo questi lavori con versatilità, perseveranza, nei limiti del possibile.
Prima di entrare nello specifico nel percorso artistico e alle motivazioni che m’inducono a proseguire senza desistere, vorrei accennare alla performance “Figli delle stelle” che ho improvvisato nel corso dell’Atelier (video: https://youtu.be/HQkguOGUvrI).
Per più di dieci anni ho seguito da vicino e invitato David Medalla a Studio.ra, dove hanno sempre confluito anche gli artisti storici della London Biennale da lui fondata nel 1998. Secondo Medalla “la London Biennale è un libero festival itinerante delle arti “fai-da-te”, aperto a tutti i creativi del mondo senza restrizione di età, genere, orientamento sessuale, etnia, nazionalità e linguaggio artistico”.
Questo eclettico artista filippino, cittadino del mondo, è un pioniere dell’arte bio-cinetica, della Land Art, dell’arte partecipativa e della Live art. Ha dato una serie di lezioni sulla “cultura globale” al MOMA, dal 1974 al 1977 è stato presidente di Artists for Democracy e direttore di importanti centri culturali a Londra.
Senza averlo completamente deciso a priori, avevo costruito un’ambientazione che comprendeva:
– installazione con la grande Stazione Spaziale Internazionale sullo sfondo
– tappeto blu che indicava il punto di fuga verso l’International Space Center nella grande sala
– luci perfette già presenti.
Avevo persino portato i costumi argentati e la parrucca viola, spinta solo dal pensiero che in quelle circostanze tutto avrebbe potuto essere utile o possibile. L’unico inconveniente era che avevo terminato le foglie d’argento utilizzate per realizzare “Verso su” l’opera centrale per il cubo di vetro durante la mia residenza.
Pensai fra me: “argento, dal latino “argentum”, significa brillante, cioè luce, elemento essenziale nello spazio infinito.
Qualcuno di passaggio mi disse: “l’oro va sempre bene”, allora presi tutto l’occorrente per indossare il costume spaziale argentato ispirato a Lieutenant Ellis (Gabrielle Drake) in UFO, serie televisiva inglese di fantascienza.
Finito il travestimento, mi venne l’impulso di avvisare gli artisti giapponesi di PAM, a cura di Carlo Gori, della mia intenzione di improvvisare un’azione performativa.
Volle il caso che in quel momento fosse presente anche Giorgio de Finis, il quale si girò verso di me ed entrambi fecero un piccolo sussulto di sorpresa per una visione così grottesca. De Finis, dopo essersi subito ripreso, mi chiese dove fossi diretta e invitò gli altri a venire a vedere che cosa avessi intenzione di organizzare. Con la cinepresa da videomaker, mi seguì fino all’Atelier #4 al secondo piano, accompagnato da un piccolo gruppetto di simpatici artisti giapponesi.
Mi avvicinai alla scatola contenente le foglie d’oro per staccare, dividere e spargere la polvere cosmica dorata, prima verso l’alto e poi sui spettatori presenti.
L’intento fu diffondere ovunque particelle di polvere interstellare illuminate da raggi di luce per dare origine a nuova vita, formare stelle e pianeti nel nostro macrocosmo.
Per terminare decisi, in omaggio a David Medalla, fondatore della performance partecipativa negli anni ’60 a Londra, di offrire a tutti i presenti la scatola magica contenente polvere interstellare. Gli artisti nipponici non esitarono ad entrare attivamente in scena per concludere gioiosamente la performance.
Prima di avviarmi alla conclusione di questi pensieri, vorrei focalizzare le ragioni dell’interesse per la luce, l’attrazione verso la figura degli Space exporers, le navicelle spaziali come vettore per superare i limiti, la particolare attenzione alle tematiche cosmiche, l’inserimento del bianco, dell’argento, della luce e dei neon flex nelle sculture e nei dipinti.
Dopo aver vissuto nel grigiore di Milano, la mia città natale, in pieno boom economico fra anni ’60-’70, decisi di trasferirmi a Roma affascinata dalla luminosità dei colori dei cieli e di scegliere il nome Studio.ra per il mio spazio espositivo (RA, dio del sole e le iniziali del mio nome).
Fu inevitabile non rimanere attratta dai misteri della luce, come fonte di vita che ci lega all’universo. Essa è percepibile solo quando interagisce con un oggetto, stranamente proprio ciò che ci illumina e ci permette di vedere il mondo, è invisibile.
La luce cambiando colore, rivela il movimento delle stelle, consentendoci di esplorare il passato per capire meglio il presente e prevedere il futuro. La velocità della luce nel vuoto, cioè trecentomila chilometri al secondo, è per noi un limite insormontabile, ma su scala cosmica questo movimento è lentissimo, il tempo rallenta via, via, che ci si avvicina alla velocità della luce.
Il coinvolgimento con astronauti e cosmonauti iniziò vent’anni fa quando, realizzai numerosi dipinti e poster, partecipando come protagonista a Milano in Art & Space, nel contesto degli “Incontri Astronauti nel 2000”, dell’ASE Congress, posti sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana.
Ammiro gli esploratori spaziali soprattutto per la loro vocazione eroica di spingersi “oltre”, nel lodevole intento di lavorare per l’umanità, di migliorare la vita di tutti. Nello spazio essi producono tecnologie pure, svolgono esperimenti di fisica in micro-gravità, studiano farmaci con nuove composizioni molecolari; insomma le ricadute pratiche e i benefici economici della ricerca spaziale nella vita di tutti i giorni sono frequenti ed importanti.
Attualmente continuo la ricerca indirizzandomi verso i concetti di fisica e astrofisica. Sviluppo la creatività nel rappresentare energie cosmiche, tracce dinamiche delle traiettorie, interazioni e collisioni di particelle negli acceleratori del CERN. La forza impressa alle dinamiche pennellate nei miei dipinti e la luminosità dei neon, rievocano l’evento di fisica quantistica a cui si riferiscono ed evidenziano il mio persistente impegno nel contribuire a svelare attraverso l’arte, insieme alla scienza, i misteri più profondi dell’universo.
Per unirmi alla ricorrenza dei 50 anni dal primo sbarco di due uomini sulla luna, concludo queste riflessioni con una poesia di Albert Camus su Caligola, imperatore di Roma.
“La luna. Volevo la luna… Questo mondo così com’è, non è sopportabile. Perciò ho bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità: di qualcosa, poniamo, di pazzesco, purché non sia di questo mondo.”.
(Roma, 18 luglio 2019)